Demolita alla base la Biennale architettura curata da Kazuyo Sejima nel corso dell’incontro “La strada che ha attraversato il mondo” svoltosi sabato scorso ai Giardini e presieduto da Paolo Portoghesi. Hans Kollhoff non ha usato mezzi termini: “Quello che ho visto nei padiglioni è puro non senso. Succede quando passa lo stereotipo dell’architetto come genio solitario che beve un bicchiere di vino, fa uno schizzo e poi magari, come Koolhass, dice Fuck the context”. “Ho letto delle cose riguardo al padiglione Italia sul sito della Biennale di cui c’è da vergognarsi per come sono scritte; se avrò tempo manderò una lettera al curatore” gli ha fatto eco Claudio D’Amato Guerrieri. E ancora Roberto Pirzio-Biroli: “All’estero si può presentare una proposta decisa, non una mostra liquida come questa”. Al centro delle critiche l’icona dell’architetto deus ex machina che agisce in completa solitudine senza porsi il problema della storia, del dialogo con il territorio e i suoi abitanti. Secondo Paolo Portoghesi: “L’architettura è qualcosa di molto diverso da ciò che viene rappresentato in questa mostra e dai media. L’affermazione individuale, che è al centro di quello che chiamo lo starsystem dell’architettura, produce contenitori, eventi, installazioni, che vorrebbero essere arte ma spesso non riescono ad essere né arte né architettura. Gesti solipsistici che non c’entrano nulla con ciò che sta loro intorno. Se dovessi sintetizzare direi che la città è fatta più di rinunce che di spettacolari affermazioni estranee al contesto.” Per Franco Purini: “Sono assenti tre elementi centrali dell’architettura: la riscoperta del luogo che è stata sconfitta dall’atopica di Augé e Bauman, il ruolo narrativo dell’architettura che è capace di parlare agli esseri umani attraverso una presenza cordiale nella scena fissa della vita; la centralità dell’immagine c’è ma è intesa come celebrazione di sé e non come impatto estetico collegato ad un contesto leggibile. La conseguenza è che si sconfina nelle installazioni per richiamare pubblico, spesso in nome dell’incomprensibilità.” Critico anche Slobodan Danko Selinkic: “Si vede che l’amnesia delle origini, della propria storia, l’incapacità di dialogare, rappresentano una tappa psicoanalitica in architettura.” I relatori si sono definiti come una pattuglia di resistenti che difendono un’architettura collegata alla storia, all’uomo, al contesto. “Credo che la mostra – ha concluso Paolo Portoghesi – non debba essere una semplice operazione di rispecchiamento ma una chiamata alle armi intorno ad un tema. Con la “Strada Novissima” proposi il confronto riguardo a un archetipo. Oggi si potrebbero paragonare le opere dello starsystem con quelle di architetti pressoché sconosciuti ai media che però realizzano opere di grande pregio. Un altro tema sensibile era fino a qualche anno fa la difesa dell’ambiente ma oggi sarebbe un po’ scontato. Più stimolante forse una mostra che aprisse il confronto fra opere architettoniche e altre discipline come per esempio la psicologia. Ci sono patologie “architettoniche”, cioè legate agli spazi, e contenuti psicologici delle forme e dei simboli architettonici. C’è bisogno di tornare a parlare di storia, di committenza, di interdisciplinarità, di natura, c’è bisogno di un nuovo umanesimo dell’architettura. “
(nella foto da sinistra: D'Amato, Biroli, Kollhoff, Portoghesi, Selinkic)
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