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sabato 28 maggio 2011
Tapis roulant e Vanità della mente
Il titolo doveva essere Opuscola spiega il poeta mentre alle sue spalle mamme, single, intere famiglie scarrozzano sui tapis roulant avvinghiate ai carrelli della spesa. Gian Mario Villalta, maglietta nera con bicipiti e volto segnato da una barba di qualche giorno, non sembra troppo a suo agio. Come un giocatore di pallanuoto in una pisicina senz'acqua. Presentare il libro di poesie Vanità della mente nell'atrio del centro commerciale nella rush hour tra le 11 e mezzogiorno è un'idea che cattura attenzioni distratte. Manca l'acqua: il silenzio. "Il nostro problema è ritrovare la vita quotidiana; chiediamoci quali sono le immagini del mondo che ci sommergono e a com'è invece la nostra vita popolata da gesti semplici. Negli ultimi vent'anni abbiamo assistito a un rovesciamento tra vita quotidiana e simboli." I versi di Villalta sono sguardi attenti su ciò che capita ogni giorno, come percorrere la stessa strada per andare al lavoro o fermarsi per il pieno alla stazione di servizio. "Posso aggiungere solo che incontro / sullo stradone ogni mattina / i pioppi, e uno per uno / fogliano lenti e insieme fanno il tempo. / Ogni giorno anche loro cambiano, / li indovino nel verde più intenso / (vorrei fermarmi, guardarli uno per uno)/ e quando rirorno, ogni giorno, nell'altro senso, / li perdo - allora penso: passano."
"Tu alla colonna della benzina/ con la faccia controvento di trequarti. / L'uomo prende la carta, l'erba alta / preme sul cartellone con un paesaggio / appoggiato tra il marciapiede e il muro. / Tu e le tue dita perdono lo schema / delle cifre da imprimere sulla tastiera. / Quando riparti (hai pagato, confuso / -dopo altri due tentativi - in contanti) / l'uomo è rimasto a guardarti / come avresti ripreso la strada con quel sorriso."
O la visita al padre malato: "Sbaglia il mio nome dolcemente, / parla con mio fratello morto. / Gli accarezzo la testa, li lascio stare / tranquilli mentre continua a parlare. (...) Dovrebbe il tempo adesso aprirsi / per le montagne così presenti, / sentisse anche lui chiamare la luce / dalle montagne lontane / e i capelli risplendere freschi, / parlasse anche a me, ma non quello di adesso, / a me quando ero un bambino / pieno di luce sulle sue spalle."
Le parole scivolano verso la conclusione come le persone sui tapis roulant. Resterà il libro e la dedica: "Con un caro saluto - Gian Mario" .
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