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sabato 1 gennaio 2011
Fantasia e Leggerezza
Nella famosa raccolta di novelle orientali Le mille e una notte Sherazade racconta del magico tappeto volante di Tangu, chiamato anche il tappeto del principe Housain. Una leggenda ebraica narra che Salomone si serviva di un tappeto di seta e trama d'oro per spostarsi velocemente da un posto all'altro. E nei racconti popolari russi la strega Baba Yaga vola con la stessa magia.
Karl Friedrich Hyeronimus Barone di Münchausen nel 1750 sceglie invece una palla di cannone: "Uno che come me sa cavalcare un cavallo eccezionale come il mio lituano, potete star certi che è in grado di cavalcare qualsiasi cosa. Stavamo assediando una fortezza e ci avrebbe fatto molto comodo sapere come erano disposte le loro difese. Ma c’erano talmente tante sentinelle in giro che nessuno sarebbe mai riuscito a entrare nel forte. Allora, senza stare a pensarci troppo, mi misi accanto ad uno dei nostri cannoni più grossi che stava sparando contro il nemico e in un baleno saltai sulla prima palla in uscita. Pensavo di aver trovato un modo sicuro per entrare nella fortezza! Per mia fortuna, però, mentre volavo a cavallo della palla di cannone, mi resi conto che questa mi avrebbe di certo fatto entrare in città, ma da lì probabilmente non sarei mai uscito, perché i turchi mi avrebbero catturato, fatto prigioniero e probabilmente impiccato. Allora, come vidi passare una palla nemica diretta al nostro accampamento ne approfittai e ci saltai in groppa, facendo così ritorno sano e salvo al campo."
Qualche tempo dopo per volare basterà un semplice secchio vuoto: "Il carbone è terminato, il secchio è vuoto e la pala non serve più a nulla; dalla stufa spira un soffio freddo; la stanza è invasa dal gelo; oltre la finestra le gemme degli alberi sono avvolte dalla brina; il cielo è uno scudo d’argento che schiaccia chi cerca aiuto. Ho bisogno di un po’ di carbone per non congelare; stretto tra una silenziosa stufa e un cielo per nulla misericordioso, devo raggiungere al più presto il carbonaio. È abituato a tener testa alle mie preghiere, devo dimostrargli che non ho neppure un granello di carbone e che per questo egli rappresenta per me il sole del firmamento. Mi presenterò come un mendicante che rantola per la fame ed è pronto a morire sulla soglia di casa, per evitare questo scandalo la cuoca dei padroni decide di usare il fondo dell’ultimo caffè; allo stesso modo il carbonaio dovrà darmi una palata di carbone spinto dal rispetto per il comandamento “Tu non devi uccidere”.
Speriamo che il mio viaggio sia fruttuoso; mi metto a cavallo del secchio e da cavaliere impugno il manico come una comoda briglia, scendo faticosamente le scale ma giunto alla fine il secchio si stacca da terra; meglio dei cammelli che stesi sulla sabbia si rialzano scossi dal bastone della loro guida. Ad un trotto moderato attraverso la strada gelata; il secchio mi porta all’altezza del primo piano, non scendiamo mai a livello della porta di casa. Arrivo sopra l’arco che porta alla cantina del carbonaio, in fondo alla quale egli mastica qualcosa e scrive al suo tavolo. Ha così tanto caldo in quella cantina che la porta è aperta.
“Carbonaiooo” chiamo con la voce arrochita dal freddo e avvolta dal respiro che diventa nuvola a contatto con l’aria fredda. “Per favore un po’ di carbone, il mio secchio è così vuoto che posso cavalcarlo, sii buono, appena posso te lo pagherò.”
Il carbonaio accosta la mano all’orecchio e chiede a sua moglie che lavora a maglia sulla panca intorno alla stufa: “Ma sento bene? Un cliente?”
“Io non sento niente”, dice la moglie mentre lavora a maglia riscaldata dal calore lanoso della stufa.
Allora grido di nuovo “Ma sì, sono io, un vecchio cliente, da sempre fedele e solo momentaneamente senza mezzi”.
“Donna, c’è qualcuno; non posso sbagliarmi di tanto, dev’essere una vecchia conoscenza quella che sa parlare così al mio cuore.”
“Cos’hai?”, dice la donna accostando il lavoro a maglia al petto, “Non c’è nessuno, la strada è vuota, abbiamo provveduto a rifornire tutti i nostri clienti, potremmo chiudere il negozio per giorni e riposare”.
“Ma sono qui sul secchio, per favore guardate in su”, grido io mentre impercettibili lacrime mi velano gli occhi. “Mi vedrete subito, vi chiedo solo una palata di carbone, e se me ne date due mi farete strafelice, tanto gi altri clienti li avete già soddisfatti ... sento già il carbone tamburellare nel secchio”.
“Arrivo”, dice il carbonaio e cerca di salire velocemente le scale ma la donna lo afferra per un braccio e ordina: “Tu rimani qui, non perdere la testa, ricordati la brutta tosse che hai avuto stanotte; per un affare, anche solo fantasticato, ti dimenticheresti di moglie e figlio e manderesti in malora i tuoi polmoni. Vado io di sopra.”
“Allora digli tutti i tipi di carbone che abbiamo nel magazzino, i prezzi poi te li dò io.”
“Va bene” risponde la donna ed esce in strada. Naturalmente mi vede immediatamente. “Signora carbonaia - la saluto con rispetto - per favore solo una pala di carbone, presto qui nel secchio, la porterò io stesso a casa, una pala del carbone peggiore. Lo pagherò a prezzo pieno, ma non subito, non subito”. Le due parole “non subito” si confondono nel rintocco serale del vicino campanile.
“Cosa vuole quel cliente?” urla il carbonaio.
“Niente - risponde la donna-, non vedo e non sento niente; le campane ora battono le sei e noi chiudiamo. Fa un freddo terribile e domani probabilmente avremo ancora molto da fare.”
Dice al marito che non vede e non sente niente e nello stesso tempo si scioglie il grembiule e lo agita in aria per scacciarmi e, purtroppo, ci riesce. Il mio secchio ha le qualità di un destriero ma è vuoto, è troppo leggero e basta quel gesto a mandarlo via in quattro e quattr’otto.
“Malefica carbonaia!” le urlo mentre torna verso il negozio e, per metà sprezzante per metà soddisfatta, agita la mano in aria come a picchiarmi. “Maledetta, ti ho implorato per una palata del peggior carbone e tu non me l’hai dato. E così a cavallo del mio secchio raggiungo le regioni delle Montagne di Ghiaccio e mi perdo nel mondo dell’ a-mai-più-rivederci." Franz Kafka, Der Kübelreiter, 1917
Italo Calvino, nelle sue Lezioni Americane (1993), riassume e commenta questa novella: "Il narratore esce col secchio vuoto in cerca di carbone per la stufa. Per la strada il secchio gli fa da cavallo, anzi lo solleva all’altezza dei primi piani e lo trasporta ondeggiando come sulla groppa di un cammello. La bottega del carbonaio è sotterranea e il cavaliere del secchio è troppo in alto; stenta a farsi intendere dall’uomo che sarebbe pronto ad accontentarlo, mentre la moglie non lo vuole sentire. Lui li supplica di dargli una palata del carbone più scadente, anche se non può pagare subito. La moglie del carbonaio si slega il grembiule e scaccia l’intruso come caccerebbe una mosca. Il secchio è così leggero che vola via col suo cavaliere fino a perdersi oltre le Montagne di Ghiaccio. (...) Ma l’idea di questo secchio vuoto che ti solleva al di sopra del livello dove si trova l’aiuto e anche l’egoismo degli altri, il secchio vuoto segno di privazione e desiderio e ricerca che ti eleva al punto che la tua umile preghiera non potrà più essere esaudita, apre la via a riflessioni senza fine."
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