“Ci hanno rubato il futuro, si sono presi il
nostro tempo”. Le pronuncia sottovoce ma spaccano i timpani, sono
una sveglia che non vuoi sentire le parole di Marc Augé nel chiostro della
biblioteca civica di Pordenone. Questo signore, dal volto francescano
incorniciato da un’argentea barba, sorride e parla con misura. C’è una sola
parola che ripete diversa dalle altre, con pienezza leggera, con forza
silenziosa, con entusiasmo trattenuto : Temps. Ma chi ha ucciso il nostro tempo?
Gli autori del delitto sono due: la crisi della finanza che ha cancellato ogni
progetto e la tecnologia che ci tiene inchiodati all’istante con i telefonini e
Internet.
Tra il pubblico non manca chi furtivamente, più furtivamente di altre volte, non resiste, e quell’occhiata al telefonino, quella sbirciatina al tablet non riesce proprio a fare meno di darla. Siamo qui e nello stesso tempo lì, nell’acquario virtuale.
Tra il pubblico non manca chi furtivamente, più furtivamente di altre volte, non resiste, e quell’occhiata al telefonino, quella sbirciatina al tablet non riesce proprio a fare meno di darla. Siamo qui e nello stesso tempo lì, nell’acquario virtuale.
Ma il tempo reale delle connessioni uccide lo
spazio reale avverte, Augé. Ci impedisce una ricerca di senso che possiamo
compiere solo all’interno di un’organizzazione del tempo e dello spazio.
L’istantaneità è il contrario del tempo, l’ubiquità nega lo spazio e la
comunicazione on line non dà vita a una vera relazione che si compie solo alla
presenza dei soggetti, altrimenti non si spiegherebbe perché le persone sentano
il bisogno d’incontrarsi.
La dittatura del presente fa scomparire gli
spazi, il correre da una parte all’altra, dalla realtà alla rete, da un paese
all’altro, dalla città alla periferia, produce un decentramento delle persone
dai luoghi reali ai luoghi virtuali o ai non luoghi (aeroporti, supermercati,
stazioni) dove scompaiono le condizioni per conoscere gli altri. Corriamo da
una connessione all’altra, da un paese all’altro ma non basta più, tant’è si organizzano viaggi nella
stratosfera: più corri e meno tempo-spazio hai a disposizione.
Per riappropriarci del futuro secondo Augé
abbiamo bisogno di riappropriarci del tempo. Lo dice per l’ennesima volta,
Temps, lo dice con affetto, con meraviglia, Temps detto così significa: il
tempo è la cosa più preziosa che abbiamo e dobbiamo usarla per coltivare il
nostro giardino, che non è le jardin di Voltaire, ma il
mondo. La questione che sta al centro del futuro è l’accesso alla conoscenza:
il figlio di un contadino dell’Afghanistan e il figlio di un professore di
Harvard devono poter frequentare le stesse scuole. È questa l’idea di mondo per
la quale vale la pena impegnare il nostro tempo, senza cadere nel dogmatismo
delle utopie, che sono l’origine dei sistemi totalitari, ma ispirandoci al
metodo della scienza che mette in discussione le proprie teorie ed è pronta a
cominciare daccapo. Un giardino della conoscenza aperto a ogni uomo, senza
distinzioni di ceto o provenienza perché per dirla, con le parole di Sartre,
“Ogni uomo è tutto l’uomo”.
Dopo gli applausi si forma una lunga fila,
come a messa per la comunione. Augé firma il suo ultimo libro Futuro (ed. Bollati
Boringhieri) e i fans sorridono e chinano il capo in segno di riconoscenza,
forse qualcuno pensa a un signore, anche lui con la barba, vissuto circa
duemila anni fa, che parlava di uguaglianza.
(sabato 22 settembre a http://www.pordenonelegge.it/)
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