lunedì 15 ottobre 2012

Lettera a un kamikaze


Come altri, è un libro che, non si trova più in libreria, solo in qualche biblioteca, eppure non sono passati più di otto anni da quando Khaled Fouad Allam lo pubblicò per la prima volta con Rizzoli. Si intitola Lettera a un kamikaze. Allam scrive a un terrorista che cammina carico di morte verso il suo obiettivo, uno che passa oltre ciò che lo circonda, come un treno che non rivedrà mai più i paesaggi che attraversa. È un libro scritto di getto dopo aver partecipato a una trasmissione televisiva in cui una ragazza di Gerusalemme, sopravvissuta ad un attentato kamikaze, disse che non amava gli arabi;  Allam che le siede accanto capisce che quel giudizio rischia di essere il pensiero del mondo e così scrive una lettera che si interroga sul male, sui cattivi maestri, sul Corano, sulla scrittura.
“Noi siamo obbligati a confrontarci con il mondo, e da ciò deve scaturire ogni dialogo” è scritto nel Corano, ma “Quando il maestro  non ti trasmette più la conoscenza come mezzo di emancipazione e di elevazione, ma la utilizza come strumento del suo potere e del suo dominio si di te e sulle cose, allora la figura stessa del maestro scompare, il sapere si annulla e allarga nel mondo un precipizio.”
Il precipizio è quello del male che sembra non avere mai una ragione ma solo ipotesi: “È perché sono infelici , che gli uomini sono così crudeli?” (Rachid Mimouni, Tombéza). Oppure parabole: “Mi viene in mente ciò che immaginò Walter Benjamin in Angelu novus: un angelo che voleva fermarsi sulla terra a riparare ciò che era stato spezzato, a ricostruire ciò che era stato rotto, a risuscitare i morti, di fronte al male fatto dall’uomo si trovò impotente e spaventato, e se ne andò senza più ritornare”.
Unica via d’uscita la conoscenza e il dialogo. Allam ricorda quando a Baghdad, Damasco, Cordoba, Toledo, ebrei, cristiani, mussulmani, convivevano in armonia. Oggi c’è solo una possibilità per tornare indietro: “Il perdono ci porterà sempre a pensare al vivere insieme come a un universo del possibile; e non esistono politiche autentiche che non si fondino sull’idea del vivere insieme. Ma vittima e carnefice devono sapersi ascoltare per evitare che la colpa crei la vittima e la vittima si trasformi poi in carnefice, perché l’ingiustizia trascina con sé altra ingiustizia, e porta al delirio della distruzione”.
Capire che dio, se esiste, è uno per tutti, e che il mondo è uno splendido giardino che siamo chiamati a coltivare insieme non dovrebbe essere una cosa così difficile da comprendere. Nel Corano la luce dell’olivo appartiene sia all’Occidente che all’oriente: “Dio è la luce dei cieli e della terra, e si rassomiglia la Sua Luce a una Nicchia, in cui è una Lampada, e la Lampada è in un Cristallo, e il Cristallo è come una stella lucente, e arde la Lampada dell’olio di un albero benedetto, un Olivo né orientale né occidentale, il cui olio per poco non brilla anche se non lo tocchi fuoco. È Luce su Luce; e Iddio guida alla Sua Luce chi Egli vuole, e Dio narra parabole agli uomini, e dio è su tutte le cose sapiente”. E al kamikaze Allam ricorda anche i bellissimi versi di Al Maqqari: “Quale paesaggio! La sua bellezza ti ricorderà quella del giardino del paradiso. La terra è muschio, l’aria ambra, le nubi incenso, la pioggia acqua di rose. L’acqua è come lapislazzuli  in cui le bocche dei leoni lasciano cadere perle”. Servirà tutto questo a fermare il male? Basterà una lettera?
“Ogni lettera soffre di un limite, quello di essere confinata nella sua scrittura. E anche se le si assegna il fine di tradurre il peso della storia, essa è impotente a mutare il corso delle cose e degli eventi. Una lettera non può scandire il suo tempo, ma le parole sono forse l’unica cosa che l’uomo non può distruggere. Le parole sono lì, il loro volto sonoro è talvolta irriducibile, ed è arduo il loro cammino verso un mondo migliore”. 

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