giovedì 18 ottobre 2012

I segreti di Venezia


Canal Grande visto dall’alto ha la forma di un serpente, simbolo del peccato ma anche della conoscenza, o la forma di un drago, maschera dell’ignoto, di quella che Jung chiamava Ombra, la testa del drago è l’isola di San Giorgio. La scena che torna alla memoria è quella dipinta in una tela di Vittore Carpaccio, che si trova nella chiesa dalmata di San Giorgio degli Schiavoni: San Giorgio in sella al suo cavallo affronta il drago frontalmente, la sua lunga lancia penetra dall’alto verso il basso nella bocca del mostro alato. Sul terreno giacciono corpi mutilati e teschi, in prospettiva un paesaggio collinare, le 
architetture di una città ideale su una baia fanno da sfondo a una principessa che prega.


 Venezia offre al viaggiatore più attento infinite pagine misteriose e nascoste, da sfogliare con attenzione e pazienza. Insieme alla bellezza che ubriaca e che vince qualsiasi desiderio di abbandonarla, la città avvolge l’ospite con i suoi fantasmi, con i sussurri notturni di anime inquiete, con architetture più vicine agli Inferi che ai Campi Elisi. Come Palazzo Dario, che si trova poco dopo la Collezione Peggy Guggenheim, nel piccolo campiello Barbaro.  
 La facciata in stile rinascimentale, immortalata da Monet, è leggermente inclinata a sinistra: tra i motivi ornamentali spiccano una serie di fori che paiono ferite d’arma da fuoco. Giovanni Dario, poco dopo averlo costruito nel 1487, perse tutti i suoi beni, mentre la figlia Marietta morì di crepacuore. Giacomo Barbaro, che vi abitò nel Seicento, morì assassinato a Candia. Rawdon Brown, lo scienziato inglese che l’acquistò nel 1832 dieci anni dopo si suicidò.    
Altri sfortunati proprietari furono: Charles Briggs costretto a lasciare Venezia perché accusato di omosessualità; Henry De Reigner che si ammalò gravemente; Arbit Abdoll ricco mercante armeno finito in miseria; il conte Filippo Giordano delle Lanze che negli anni Settanta
fu ucciso dal suo amante che gli spaccò la testa con una statuetta; Cristopher Kit Lambert, manager del complesso rock The Who, morto nel 1981 a Londra in circostanze misteriose; l’industriale Raul Gardini che si suicidò a seguito dell’inchiesta giudiziaria "mani pulite" all’inizio degli anni Novanta.Fu invece solo sfiorato dalla maledizione di Ca’ Dario il tenore Mario del Monaco che, tornando da un incontro per trattare l’acquisto, ebbe un grave incidente d’auto in seguito al quale rinunciò al suo progetto. Sulla facciata c’è una scritta che ne segna il destino “Urbis Genio Ioannes Darius” che andrebbe tradotta “Giovanni Dario al genio della città”, ma che anagrammata si trasforma in: “Sub ruina insidiosa genero" cioè “Genero pericoli a chi mi abita”. 
Basta fare pochi passi e ci si trova davanti ad un altro enigma: quello della Basilica di Santa Maria della Salute costruita nel 1631, ufficialmente per combattere la peste, ma non si possono escludere fini esoterici. Il suo autore, l’architetto di origine ebraica Baldassare Longhena, esperto di cabala, la costruì su una  pianta ottagonale ma nel presentare il progetto ai suoi committenti fornì delle misure false. In  realtà l’intero edificio è costruito sulla base di due numeri l’otto e l’undici. E se il primo è tra i preferiti dalla tradizione cristiana con i suoi riferimenti all’infinito e alla vita eterna, il secondo ha un significato ambivalente: da un lato simboleggia la trasgressione ai dieci comandamenti, dall’altro Dio e le sue dieci emanazioni, le Sefirot della tradizione ebraica. Tutte le misure della basilica sono multipli di queste due cifre, un incrocio esoterico tra cristianesimo ed ebraismo che dona a questo luogo una straordinaria energia.  A proposito di cabala, alle spalle della basilica c’è la calle Ca’ Balà: Ca’ a Venezia sta per Casa, ma in città non è mai esistita nessuna famiglia di nome Balà. Dai gradini della Salute si vedono molto bene San Marco e le due colonne della Piazzetta più volte ritratte nei bellissimi quadri di Canaletto e del Guardi. È il luogo dove per secoli furono eseguite le condanne a morte: l’ultima di un certo Domenico Storti impiccato nel 1752 per aver ammazzato il fratello. Si narra che le colonne avrebbero dovuto essere tre, ma durante il trasporto quella con la statua di un coccodrillo scomparve in mare a causa di una violenta tempesta. Pare che in alcune giornate di nebbia la testa del feroce animale compaia tra le onde e che quando ciò accada nei sestieri scompaia una fanciulla vergine.
Poco lontano, proprio all’ingresso della Basilica di San Marco, un potente disegno alchemico passa di solito inosservato: si tratta del mosaico del Dodecaedro stellato in cui si ritrovano i sette pianeti, i quattro elementi, la quadratura del cerchio, il fiore alchemico luogo della nascita del filius philosophorum. Qui, molto probabilmente, nel 1778, s’incontrarono per parlare delle loro formule magiche Giacomo Casanova, più noto per le sue avventure amorose che per le sue conoscenze alchimistiche e la vasta cultura letteraria, e il Conte di Cagliostro. Sempre all’interno della Basilica s’incontra un altro mosaico misterioso, quello di fronte alla cappella di Sant’Isidoro che raffigura un rinoceronte. In realtà nel XIII secolo, epoca di composizione dei mosaici,  non si conoscevano i rinoceronti, il primo giunse in Europa nel 1515 donato dal Sultano di Cambay al Re del Portogallo (Albrecht Dürer ne fece una splendida incisione). A Venezia non è importante la corrispondenza dell’immagine con la realtà, ma quel che essa vuole significare: in questo caso il corno del rinoceronte rappresenta la forza e l’albero alle sue spalle il valore della conoscenza. Chi compose quel mosaico, e quando, restano domande senza risposta. Usciti da San Marco e dirigendosi verso il Ponte di Rialto si può quindi incontrare un gobbo meno famoso di quello di Notre Dame ma non per questo meno inquietante:  il gobbo di Rialto in Campo San Giacometto. Si dice che rappresenti una ladro realmente esistito condannato a sostenere una scala di marmo fino a morirne. Per altri è un uomo inginocchiato che sta sostenendo la scala che permetteva agli araldi di leggere i loro bandi. La statua veniva anche  baciata dai ladri condannati a correre nudi tra due file di persone che li frustravano da San Marco a Rialto. Arrivati al gobbo lo baciavano perché segnava  il termine della loro sofferenza. Potrebbe  infine essere l’immagine di un uomo schiacciato dal peso dell’esistenza, un Sisifo rinascimentale. Sono tante le storie segrete e strane che il visitatore curioso può scoprire a Venezia leggendo I misteri Venezia, e Misteri della Laguna e Racconti di streghe di Alberto Toso Fei o Venezia è un pesce di Tiziano Scarpa che suggerisce un gioco con il quale concludiamo la nostra misteriosa passeggiata: “Tornate in Piazza San Marco, alla colonna d’angolo di Palazzo Ducale e da quella raggiungete la quarta sul lato che guarda San Giorgio, noterete che non è proprio in linea con le altre. Appoggiate la schiena alla colonna e provate a fare il giro della colonna senza cadere dal piccolo gradino alla base. Da bambino ci provavo sempre, era più di una sfida o un gioco, mi procurava un brivido vero: mi avevano detto che ai condannati a morte veniva offerta quest’ultima possibilità di salvezza. (...) Ad ogni modo, mi piace questa rappresentazione della morte profonda pochi centimetri invece del solito abisso.”
Foto: Venezia al tramonto © Mario Anton Orefice, Gobbo di Rialto © Mario Anton Orefice
Scritto per http://www.avrvm.it




2 commenti:

  1. Assorta in un dolcissimo dormiveglia riusciva a distinguere, lontano, il ticchettio della pioggia sulle grondaie, le sembrava di vedere l’acqua scivolare sulla pietra degli scalini fuori di casa, e si ritrovò a rivivere le sensazioni provate al cospetto della laguna, di un’acqua speciale, che non è fiume né lago né, ancora, mare.
    Venezia, quante volte aveva percorso quel tratto di ferrovia che abbandona la terraferma per raggiungerla? Quante volte si era chiesta quale miracolo le permettesse di vedere sempre diverso quello spazio così bene conosciuto? Forse si compiva ogni volta grazie alle piccole pettegole marroni adagiate sulle barene affioranti, incuranti di ogni cosa mentre si fanno trasportare da onde quiete, osservando i gabbiani appollaiati di vedetta sulle bricole, oppure era merito del colore dell’acqua che pareva cambiare anche la propria consistenza con il variare della luce, oppure delle isole immobili dall’aria rarefatta: in quei momenti si lasciava trasportare nell’idea che Venezia non fosse raggiunta, ma fosse essa stessa ad andarle incontro, a farsi avanti per accoglierla, per spronarla a non spegnere mai la fantasia, il desiderio di andare oltre.
    In quella città galleggiante, fragile e così decisa a difendere la propria unicità, da sempre sapeva di poter ricercare il legame tra il sogno e la concretezza del progetto, dare forma al desiderio di cambiamento, plasmare le idee, come accade alla bolla incandescente e informe che diviene vetro prezioso e colorato di mille sfumature.
    (Da "Tre volte trenta")

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  2. Un acquisto fatto bene ti premia nel tempo. Prova la isola galleggiante. Vai su http://www.vitalbios.com/A/MTQ2NjI3MjU1NiwwMTAwMDA1NSxpc29sYS1nYWxsZWdnaWFudGUuaHRtbCwyMDE2MDcxNixvaw==

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