C' è qualcosa di nuovo, oggi, nella letteratura italiana. Qualcosa che prima non c' era: la gratitudine. Gli antichi erano ingrati. C' era in passato, come oggi, chi preparava i brodini agli autori, chi gli lavava i calzini e gli dava il bacio della buonanotte; ma loro, niente! Quando pubblicavano un libro, che so: le Ultime lettere di Jacopo Ortis, o I promessi sposi, non mettevano nemmeno una parola di ringraziamento. Qualche volta, il tipografo metteva di sua iniziativa la parola fine, e tutto finiva lì. Oggi è diverso. Oggi non c' è quasi esordiente, o recidivo delle patrie lettere, che non aggiunga alle eterne pagine del suo libro una mezza pagina, o una pagina, o anche due pagine fitte di ringraziamenti. A Gianna, a Pasquale, a Bibi; a Sara che quando mi vedeva pensieroso mi guardava un po' così; a Giuliano per i preziosi consigli. A Giusi (o: a Sandro) che mi incoraggiava. A Piero che mi preparava il cappuccino tutte le mattine. A Iole, la sua mano fresca sulla mia fronte. La lettura dei ringraziamenti è spessa più dilettevole, e istruttiva, di quella del libro. Purché non sia reticente. Vogliamo fare un esempio? «A Giovanni (o: a Clara), lui (lei) sa il perché». Eh no. Vogliamo saperlo anche noi che leggiamo, il perché. Ne abbiamo il diritto.
Sebastiano Vassalli
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