Fin dall'inizio la festa stentava a decollare e Dio il nano si mise a fare ogni genere di acrobazie perché gli ospiti non se ne andassero lasciandolo solo. Prese tre palline e le fece volteggiare in aria eseguendo una serie di numeri incredibili, uno dopo l'altro. Le persone che già erano vicine alla porta si tolsero i cappotti e si sedettero a guardare Dio il nano che dava il meglio di sé. Era passato da tre a quattro palline. Le lanciava in aria tracciando parabole perfette, afferrandole dietro la schiena o fra le gambe. Introdusse poi una quinta pallina e il pubblico trattenne il respiro Ma dio il nano non si fermò lì. Ne aggiunse un'altra, e poi altre cento, un miliardo. Riuscì a far volteggiare in aria tre miliardi di palline a occhi chiusi, senza farne cadere a terra neppure una. E poi venti milioni di trilioni di palline, tenendo in equilibrio sulla fronte un bicchiere di birra pieno fino all'orlo senza versarne neanche una goccia. E tutti gli ospiti fanfaroni, che non facevano che dire "Beh, non ci vuole poi molto, questo lo so fare anch'io", oppure: "Una volta, a Las Vegas, ho visto un negro che si sarebbe pappato questo tappetto a colazione", dovettero ammettere che dio il nano era davvero qualcosa di speciale. Alla fine tutti se ne andarono soddisfatti: gli ospiti, per via dello spettacolo fanatstico, noi, perché in questo modo Dio il nano aveva creato l'universo, e lui, perché non doveva più rimanere solo.
Etgar Keret, La notte in cui morirono gli autobus
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