martedì 4 ottobre 2011

Diogene-Sisifo

Rabelais (1483-1553) nel terzo libro del Gargantua e Pantagruele fa rivivere Diogene “che ai tempi suoi filosofo raro e divertente fra mille”. Dopo aver spiegato che, alla vigilia dell’attacco di Corinto da parte di Filippo di Macedonia, in città tutti erano in agitazione e impegnati a far qualcosa, Rabelais scrive: ”Diogene, vedendoli arabbattarsi con tal fervore, e non essendo impiegato dai magistrati a far cosa alcuna, per qualche giorno contemplò il loro movimento senza dir parola; poi, come eccitato da spirito marziale, cinse il suo pallio a bandoliera, si rimboccò le maniche fino ai gomiti, si tirò su la tunica come chi va a coglier pomi, diede in consegna a un suo vecchio compagno la sua bisaccia, i suoi libri e opistografi; si ripulì, fuori della città verso il Craneo (che è una collina ripida di fianco a Corinto), un bel tratto di terreno; vi condusse rotolando la sua botte fittile che gli faceva da casa contro le ingiurie del cielo, e in grande eccitazione di spirito, a braccia tese, la girava, rigirava, rimestava, infangava, strigliava, ribaltava, rovesciava, carezzava, grattava, palpeggiava, sbatteva, impastava, spingeva, frenava, sbatacchiava, ribaltava, tartassava, bagnava, picchiettava, tamburava, stoppava, distoppava, sconnetteva, squassava, martellava, scrollava, lanciava, stuzzicava, la faceva oscillare, le dava la mossa, la levava e lavava, la inchiodava, la impastoiava, la puntava di qua e di là, la strofinava, bloccava, cincischiava, raccoglieva, spruzzava, la metteva in alto, affustava, legava, sbarrava, lisciava, impeciava, impiastricciava, tastava, la faceva giocherellare, la ruzzolava, atterrava, tagliuzzava, piallava, rivoltava, incantava, armava e alabardava, bardava, impennacchiava, rinforzava e la faceva correr giù da monte a valle, precipitandola dal Craneo, e poi da valle la riportava a monte, come Sisifo col suo pietrone; e poco mancò che non la mettesse a pezzi. Onde uno dei suoi amici, vedendo questo maneggio, gli domandò per qual causa mai si prendesse tanto affanno, lui, il suo corpo e la sua botte. Cui rispose il filosofo che, non essendo egli adibito a nessun altro ufficio a vantaggio del pubbico, tempestava così con la sua botte per non trovarsi, fra tutto il popolo così agitato e occupato, lui solo inoperoso ed ozioso.”

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