lunedì 31 ottobre 2011

Schiaffi

Caro amico,
vorrei raccontarle due piccole cose accadute in questi giorni. Scena prima. Passeggiavo per una via del centro quando ad un tratto una mamma ha cominciato schiaffeggiare con violenza suo figlio, un bambino di circa sette anni. La strada era piena di persone che hanno proseguito indifferenti, qualcuno si è fermato a guardare. Mi sono avvicinato a questa pazza e le ho detto: Non si picchiano i bambini. Lei con la faccia pietrificata dalla rabbia ha risposto: Perché lei non sa che cosa ha fatto. Poi l'ha trascinato via che piangeva e singhiozzava. Più in là un uomo aspettava, forse il padre.
Scena seconda. Leggevo il giornale seduto su una panchina nel grande piazzale del castello. Due colombe bianche giocavano a rincorrersi sulle foglie gialle. A volte si avvicinavano come due amici che si stanno raccontando le ultime novità. La grande macchina nera arriva veloce e poi si ferma. L'uomo scende, chiude la porta e si avvia. Incurante. Una colomba è morta, l'altra le gira intorno, sembra chiedere: Perché non parli più con me. Dico all'uomo: Ha visto che l'ha ammazzata? Non me ne sono accorto. Se fosse andato più piano l'avrebbe vista. Andavo piano, forse è la macchina che è fa rumore e allora può sembrare. Noi e le nostre parole non possono nulla contro la stupidità e la forza: due agenti causali inseparabili. La mamma degli schiaffi e l'uomo che schiaccia le colombe, o qualcun altro, saranno diventati meno stupidi, meno violenti dopo quel che è successo? Sarebbe questo il senso? E se dicessimo che alcuni esseri umani sono meno evoluti e sensibili di altri? No, non possiamo dirlo perché questo ragionamento porta dritto ai campi di concentramento. Possiamo a nostra volta essere violenti con gli stupidi e i violenti? No, non possiamo. Allora, forse, caro amico, non ci resta che versare una lacrima, se ne siamo capaci, se davvero io e lei siamo capaci di essere molto diversi da loro.
p.s. Dopo una settimana sono tornato nel grande piazzale, la colomba bianca era sola e sembrava ancora cercare l'altra.
(la foto è di Florence Ménez )

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